L’Archivio Mario Cervo rappresenta la più importante collezione al mondo dedicata alla musica sarda. Nell’archivio è custodita gran parte del materiale fonografico edito con dischi di artisti sardi risalenti ai primi anni del ‘900, mentre quelli relativi al repertorio tradizionale sardo, risalgono al 1922. Si tratta di oltre 10000 supporti catalogati e ordinati dall’etnomusicologo Paolo Angeli: un lavoro reso possibile anche grazie all’intervento dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico.
Il materiale presente nell’Archivio permette oggi di effettuare una ricerca approfondita su quanto accaduto musicalmente in Sardegna nel 1900. Il cuore dell’archivio è la musica tradizionale espressa attraverso i generi del canto a chitarra, della gara poetica, del canto a tenores, del canto campidanese, delle Launeddas, della tasgja, del canto a cuncordu, dei canti e dei balli strumentali. Ma c’è spazio anche per i suoni che accompagnano le lavandaie al fiume, per i timbri “eterodossi” di una foglia di edera utilizzata come ancia, per i racconti dei grandi interpreti degli anni 30 ai microfoni di Radio Sardegna, per la trombetta di un banditore, e per tutti i suoni e le parole che hanno assecondato, per un secolo, i movimenti concentrici tra campagna, paese e città, nella vita scandita dal calendario agricolo. L’assidua ricerca di Mario Cervo ha documentato la storia della musica tradizionale sarda trasmettendoci anche le pagine di un’altra musica, negli anni folclorizzata e italianizzata anche nei testi. Realizzando un archivio centrato sull’isola e la sua musica, Mario Cervo ha dato vita ad un corpus unico in cui si contempla la musica fatta dai sardi ispirata alla loro terra.
Rigettando ogni forma di ghettizzazione e di chiusura ideologica, ci ha trasmesso una visione imparziale di quanto musicalmente accaduto nell’arco di un secolo.
L’Archivio si apre allora alle esperienze musicali moderne come la musica leggera, il jazz ed il rock. Forme solo apparentemente estranee alla storia musicale sarda. Anche nelle edizioni Nuraghe, prodotte dallo stesso Mario Cervo, le due anime convivono. Appartengono allo stesso catalogo il brano Welcome to Costa Smeralda, che evoca la nascita dell’industria turistica gallurese e, parallelamente, le pagine migliori del canto a chitarra del dopoguerra, dove gli straordinari cantori quali Mario Scanu e Cicchèddu Mannoni esprimono i sentimenti e i valori di un mondo agropastorale che scomparirà nell’arco di pochi decenni. Era questa la musica che realmente amava Mario Cervo. A questa musica dedicò le sue produzioni discografiche e la sua simultanea ricerca sul campo, documentando le fasi più importanti del canto tradizionale legato ai cambiamenti socioculturali in atto in Sardegna.
Mario Cervo, attraverso le sue edizioni discografiche, ha partecipato attivamente a tracciare la storia di una musica al tempo troppo giovane per destare l’interesse dell’etnomusicologia. Accanto alle preziosissime incisioni del 1922 è possibile accedere a centinaia di nastri inediti, a migliaia di articoli di supporto alla parte audio, oltre che a forme di poesia sarda moderna legate alla musica rap e, ancora, al grido punk noise contro una Sardegna militarizzata e cementificata. Anche questa è storia. Ed è solo conoscendo in profondità la realtà sociale in cui ci troviamo e in cui si è trovata la cultura sarda nel secolo scorso che si può capire quali sono i micro-elementi che rendono la nostra musica tradizionale, così ripetitiva e minimale a un orecchio estraneo, profondamente ricca ed unica.